Nella scorsa puntata abbiamo imparato una lezione importante: prima di decidere quali saranno i nostri obiettivi, è necessario lavorare su noi stessi. Se non siamo capaci di guardarci dentro, difficilmente sapremo programmare un percorso costruttivo ed efficace.
Andando oltre questi necessari presupposti (mi raccomando, se non hai ascoltato le puntate antecedenti recuperale e fai gli esercizi!), veniamo a noi: quanto siamo lontani dal raggiungimento dei nostri obiettivi? Cosa dobbiamo fare concretamente per riuscire a spuntare la lista?
Per capirlo ci porremo delle domande che sono tipiche del marketing aziendale, avvalendoci di strumenti che ci aiuteranno a conoscere meglio il nostro mercato.
TARGET
Sicuramente ne avrai già sentito parlare, in tutte le salse. Che tu abbia lavorato nei social media, o frequentato corsi di storytelling, di economia, comunicazione… avrai già un’idea di cosa significa individuare il proprio.
Io però sto per darti una definizione diversa da quella che troverai tra i primi risultati della serp, scrivendo «significato di target».
Nella costruzione della propria marca personale, il target non è (solo) il pubblico a cui ti rivolgi, ma il pubblico composto da tutte quelle persone che possono aiutarci a raggiungere (o che influiscono nel processo di raggiungimento) il nostro obiettivo.
Oggi il target non è più composto da individui che dobbiamo ingozzare con i nostri prodotti o servizi, e non è nemmeno una folla da manipolare con il fine che metta mano al portafogli e ci porti al successo. No, lo ribadisco, il tuo target sono quelle persone che partecipano con te al raggiungimento dei tuoi obiettivi.
Se hai intenzione di lavorare alla tua marca personale, devi iniziare a vedere il tuo target come un gruppo di supporto, non come un bersaglio addosso al quale puntare le tue freccette.
Vuoi un esempio più concreto? Ascolta la puntata! Ti racconto come sono riuscita a pubblicare il mio primo romanzo grazie al mio target.
Prendi il tuo quaderno di marca e domandati:
A: Chi è il tuo cliente potenziale diretto? Quindi, chi è quella persona che ti può portare a raggiungere il tuo obiettivo?
B: In che settore si trova, che professione fa?
C: Chi sono le persone che potrebbero aiutarti a raggiungere il tuo cliente potenziale? (Nell’esempio di cui ti parlo nel podcast, i lettori online sono coloro che possono aiutarmi a raggiungere il mio editore, che è a sua volta il mio cliente diretto).
Quando avrai fatto tutto questo potrai avviare la fase di indagine sul mondo in cui si muove il tuo target diretto, osservando il percorso che hanno fatto i tuoi simili.
Io ho studiato gli scrittori, ho cercato di capire che lavoro facessero, se si limitassero a scrivere e basta, che qualifiche professionali possedevano, se avevano pubblicato prima con piccole case editrici o direttamente con grosse case editrici dopo un lungo percorso online, e tante altre cose che mi sono state utili per lavorare su di me. In marketese questo processo si chiama benchmark.
BENCHMARK
Fare Benchmarking significa applicare un metodo di valutazione in cui ti metti a confronto con i “best in class”, persone che scegli come parametro di riferimento. Si tratta quindi di capire cosa fanno e cosa hanno fatto i tuoi simili, senza però vederli come “il nemico”. Sappi che in alcuni casi i competitors, oltre ad essere una grande fonte di stimolo e ispirazione, possono diventare degli utili alleati.
Vuoi saperne di più?
Premi play e… buon lavoro!
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03 – Impara a fissare gli obiettivi giusti
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Potrei proporvi un lungo discorso mellifluo a base di isognisondesideri + hashtag millenial like #colmioprincipe 🤴🏻💖, ma francamente desidero solo riferire all’Arianna quattrenne che i 27 anni di attesa sono valsi la pena: nel frattempo alle tazzine rotanti hanno aggiunto il 4D e svariati Johnny Depp interattivi.
#ilprogresso
Ho perso il conto dei sogni realizzati in questa luna di miele, ma ce ne sono due che necessitano di una carrellata apposita. 🦌⚡️
#pleaserespectthespelllimits #nara #universalstudios
POV: il giorno del tuo matrimonio hai regalato una Kodak a rullino a ciascuna delle tue damigelle 📸
#matrimonio #kodak #vintage
Un post a base di giallo con una funzione estrinseca - raccontarti un altro po’ di Kyoto - e una intrinseca - flexare con prepotenza le mie nuove giappoacquisizioni 👘💛
[Ah, e un po’ di 🐒 perché sono #troppobelline e sinceramente penso ti regaleranno un po’ di buon umore 🌼🐵]
#kyoto #🍯🌙
In questa città strabiliante mi sono riconfermata una cosa: sono gialla anche nei viaggi.
Mi va bene avere una tabella di marcia, ma allo spuntare una lista preferirò sempre godermi la giornata, improvvisare, cambiare idea.
Del resto quello che mi resterà non sono i templi (me ne ricordassi mezzo di nome), o i mille mila Torii (di cui di base terrò presente la fatica immane per arrivare in cima con 30 gradi) di per sé, ma l’esperienza, quello che ho sentito nel camminare per quelle vie, il senso di pace, o euforia, o gioia, o sorpresa.
E francamente ciò che porterò con me di questi primi due giorni a Kyoto è proprio l’unica cosa che non era in programma (e che viene da un azzeccatissimo suggerimento di una di voi): la passeggiata nel Sentiero del filosofo (la foto dove sono immersa nel verde), sentiero che abbiamo raggiunto a piedi beccando così un seminascosto negozio vintage di kimono (A D O R O).
Ultimo concetto da traveler (questa volta non basic ma radical chic) bitch: peferirò sempre vagare a seguire un tracciato prestabilito, specialmente se il suddetto implica strade brulicanti di turisti (di cui parlo con sdegno essendone io una, brava cretina) e l’Improvvisare un fiammante Kimono di seta Made in Japan (quello in foto è per mamma, ma anche il mio non scherza 👘).
O no?
(Attendo i non gialli e le loro liste al varco).
#kyoto #kyoto_style #🍯🌙
Oggi, ultimo giorno di questo primo round a Tokyo, la faccio breve:
🌙La me di 4 anni è entusiasta, ai limiti del collasso per il tripudio.
🌙La me di 31 ha capito che se por casualidad de la vida dovesse vivere in un paese con i water computerizzati, le infrastrutture del futuro e il sushi a pranzo e cena per un periodo circoscritto della propria esistenza, bah, ci si potrebbe abituare.
Anzi, riformulo, dove devo firmare?
#tokyo #🌙🍯 #unacombattentechevesteallamarinara
Tokyo II: cat caffè a Takeshita street (felice io🐈🐾), santuario Meiji, Yoyogi park, Akibahara city (o frikilandia/nerdolandia), Shinjuku e Golden Gai (ma sono io o in giapponese suona tutto molto fancy?).
Da mettere in evidenza:
1. Se trovi i peperoncini di peluche appesi in un bar, è perché con tutta probabilità morirai incendiato nell’intento di deglutire il 90% delle pietanze disposte sul tavolo.
2. Non basta essere una bimba di Sailor Moon per tollerare dieci piani di statuine di resina.
3. La metro di Tokyo è una bomba almeno quanto gli outfits di chi la usa.
4. Se leggi il decalogo della basic bitch in Giappone trovi nell’elenco un caffè ghiacciato da bere rigorosamente su un rooftop stile Tokiu Plaza e accarezzare un cucciolo di persiano con addosso delle pantofole sterilizzate.
5. Altro che vestirsi a strati, sto cambiando più outfit in un giorno io che una Barbie Malibu. E chi se lo ricordava com’era la primavera?
Per ulteriori riferimenti visivi: album stories “Tokyo II”.
Alla prossima puntata.
Xoxo
アリアンナ 💋
Le prime 24h a Tokyo iniziano con una scampagnata per Shibuya (bello l’incrocio, ma Mewtwo a bagnomaria batte ogni cosa, forse persino il sushi), proseguono con un terremoto magnitudo 5.2 alle 4 del mattino (ha suonato una sirena nel cellulare FORTISSIMA che mi ha fatto prendere un infarto, poi ha vibrato tutta la stanza per circa 3 secondi, dopodiché sono morta cerebralmente ricordo solo che Javi sereno perso mi fa “ah, hai visto come funziona bene? Ti avvisa subito persino l’iPhone!” per poi mettersi a guardare video di calcio mentre io regalavo anni di vita alle parche), una passeggiata alle sette del mattino perché tanto ecchidormepiù al tempio Senso-ji (pazzesko, pure se ho speso 200y per farmi dire da due foglietti diversi che avrò BAD LUCK, ma poi li ho annodati entrambi nella bacheca delle sfighe e quindi in teoria sono salva o almeno spero) e una nel parco di Ueno.
Infine, dopo n3 templi buddisti sparsi nel verde, abbiamo visitato per caso una sala di pachinko, tipo di luogo infernale dove decine e decine di nippononnini si fondono la pensione in tutta scioltezza (allego video).
Che dire, ‘sta honey moon è partita col botto.
Anzi, sarebbe il caso di dire col sisma.
#giappone #giorno1 #lunadimiele
#tokyo
“La prima volta che ti ho visto era un mercoledì di Novembre, rievocato nei nostri racconti decine, magari centinaia di volte.
Io una studentessa Erasmus con il cuore bendato e una giacca nera che sembrava il tappetino del bagno, tu un impiegato con la camicia a quadri e un paio di basette improponibili, ma gli occhi sinceri.
Ti ho capito subito: tu eri vero, pulito, senza filtri. Quello che c'era, era davanti a me.
Chi mi conosce lo sa bene, per tutta la vita ho cercato una squadra.
Volevo l'amore, quello complice, sereno, fatto di affetto e piccole cose, e io lo sapevo che da qualche parte esisteva la persona che mi avrebbe scelta e voluta esattamente per quello che sono (loca).
Qui, davanti a tutti, voglio dirti grazie per avermi fatto dono fin dal principio di un amore incondizionato.
Sì, incondizionato.
Perché tu non mi hai amato solo quando ero sulla cresta dell'onda, allegra, sorridente, sul pezzo.
Tu mi hai amato quando perdevo il nord e se mi parlavi davo errore 404 not found, quando ho fatto arrivare bollette stellari perché sono entrata in fissa con le torte al cioccolato e quando volevo vedere l'ennesimo film drammatico che sapevi a te avrebbe fatto schifo.
Tu ci sei sempre stato, per dirmi che ero brava, capace, intelligente.
Tu hai creduto in me persino quando io ho smesso di farlo, e se c'era un fardello da portare, l'hai portato insieme a me, senza esitare.
Tu sei la prima persona con cui sono riuscita a ballare senza provare imbarazzo. Con te sono me, e nel mentre mi ammazzo pure dalle risate.
Perché non c'è nessuno al mondo che mi faccia ridere come te, che mi faccia sentire così capita, accolta, rispettata, benvoluta.
Tu sei il "succede solo nei film", ma nella vita reale.
Sei la prova che non mi sbagliavo a volere di più, e che a volte l'istinto funziona molto
meglio della ragione.
Perché chi l'avrebbe mai detto che la studentessa Erasmus sei anni dopo si sarebbe sposata con il sivigliano a cui aveva inviato un biglietto di sola andata per Cagliari soltanto due mesi dopo averlo conosciuto?
Sai chi?
Noi.
Noi l'abbiamo detto.
E ci abbiamo creduto.”
📸 @montalbanoweddings ❤️