07- Personal branding su Instagram: cosa si nasconde dietro un account di successo
#iomiproclamo
Tra i social più in voga del momento, e sicuramente tra quelli che offrono più opportunità per posizionare la propria marca personale, c’è Instagram.
Terra del visual storytelling, Instagram è un canale che si presta molto bene a chi ha già le idee chiare e non è preoccupato all’idea di allestire quotidianamente una vetrina.
In tanti però, quando scelgono di usare Instagram con scopi professionali, si preoccupano esclusivamente di maturare skills tecniche. Il che può essere ok se sei un content creator e appunto hai solo bisogno di una vetrina. Se però il tuo scopo è lavorare alla tua marca personale serve di più.
«Cosa devo fare per avere successo su Instagram?»
Il successo su Instagram non dipende solo dall’uso tecnico che saprai fare della piattaforma (ovvero se scatterai bellissime foto, userai programmi di editing, app per le stories etc) ma da quanto avrai preso consapevolezza delle tue abilità e punti forti, delle opportunità del mercato, delle persone con le quali puoi facilmente fare gruppo, o per meglio dire, con cui potresti fare networking.
Per poter agire consapevolmente su un social ti servirà tenere davanti il tuo quaderno di marca, e aver svolto gli esercizi che ti ho proposto finora.
«Ma quindi posso ottenere dei risultati su Instagram senza pubblicare foto mozzafiato?»
Instagram non è solo belle foto, preset, filtri per le stories. Certo, essendo un canale visual in alcuni casi l’occhio vuole la sua parte, ma Instagram non è Pinterest. Non possiamo limitarci ad avere una bella galleria di immagini.
Ti faccio un esempio, per spiegarti meglio cosa intendo. Inventiamoci un personaggio di nome Martina, che ha 24 anni e fa la fiorista.
Martina ha una piccola bottega nella quale vende fiori e prepara bouquet da sposa.
Probabilmente se Martina andasse da una consulente che si occupa solo del canale Instagram o solo di social, le verrebbe suggerito di creare delle belle immagini chiare, con i fiori ben in evidenza, dei testi esplicativi, e eventualmente un uso abbastanza standard dello storytelling. Le si direbbe di parlare del suo dietro le quinte, di mostrare i procedimenti del suo lavoro, della scelta dei fiori, dei nastri, della carta. Di organizzare le stories in evidenza seguendo un ordine ben preciso, di realizzare copertine per le sue stories seguendo la palette che ha sviluppato precedentemente. Tutte cose giustissime, che però, secondo la mia opinione, devono appoggiarsi su qualcosa di più.
Perché se Martina non ha le idee chiare su quali sono le sue finalità, su cosa realmente vuole mostrare di se stessa e del suo lavoro, non sarà che la copia della copia della copia di quella che prima di lei ha seguito queste direttive.
Dopo essersi rimboccata le maniche avrà un bel feed, delle belle foto, ma niente di sostanziale cambierà. Alla fine , tornerà a usare il suo canale Instagram come una bacheca Pinterest.
E c’è un altro ma: e se Martina fa anche altro, oltre produrre bouquet da sposa? E se Martina adora i film romantici, le gite in campagna, sfogliare Vogue…deve farlo sapere? Deve comunicarlo ai suoi followers?
Ti faccio una domanda:
Martina vuole essere una fiorista che si chiama Martina, o Martina la fiorista?
A una prima lettura può sembrare un gioco di parole, ma in realtà tra queste due frasi c’è una differenza sostanziale.
La prima frase è il risultato di una Martina starà eseguendo una strategia standard, quella che verte sull’estetica e sulla ricerca del risultato immediato, evidente. Nella seconda frase c’è una Martina che lavorerà prima su se stessa e sui suoi obiettivi e comunicherà la sua personalità sul canale che ha scelto, in questo caso Instagram, perfetto per una professione esteticamente catchy come la sua.
Tu con quale delle due vorresti interagire? Forse alla prima chiederesti un preventivo, ma che altro? Potresti empatizzare con lei? Molto probabilmente la risposta è no, per il semplice motivo che noi interagiamo con le persone, non con le professioni.
«E se Martina è una multipotenziale?»
Che succede se a Martina piace sia fare mazzi di fiori che suonare la chitarra classica, e anche quello è un aspetto che vuole comunicare?
Instagram, come la società, sembra chiederci di dover scegliere una sola cosa sulla quale concentrarci. Ma, almeno secondo la mia opinione, non è necessario. L’importante è trovare un filo conduttore.
Se Martina costruisce un profilo personale in chiave strategica (quindi adottando tutte le tecniche che ho suggerito nelle scorse puntate) potrà montare i suoi video usando come base musiche composte da lei, per esempio. Oppure fare una rubrica in cui abbina a una tipologia di fiore una melodia speciale. Se Martina pone il focus su di sé, e comunica a dovere tutte le declinazioni del suo io, non dovrà per forza scegliere. Dovrà però lavorare su priorità e coerenza, e chiedersi con quale scopo sta usando Instagram. Perché se il suo unico obiettivo è vendere bouquet, allora dovrà necessariamente dare ai fiori il primo posto, in termini di contenuti e focus.
Vuoi un altro esempio? Ti parlo del mio canale.
Nel mio account ho coniugato il mio essere una expat in Spagna, con il mio amore per la scrittura e la mia passione per il marketing e il personal branding.
Alcuni puristi direbbero che non è una scelta saggia. Mi direbbero «come puoi convertire, essere ingaggiata per le tue competenze di marketing, se parli anche di Madrid, di multipotenzialità, di libri, di scrittura?». La mia risposta è semplice: il mio obiettivo su Instagram non è vendere consulenze, ma creare un legame con la mia community in quanto Arianna Lai, che è sì una consulente di marketing, ma è anche una multipotenziale che vive all’estero e scrive romanzi.
Quello che trattiene le persone sei tu, non quello che fai. Quello che fai è uno strumento, il tuo modo di essere d’aiuto, di essere presente nelle vite altrui.
Veniamo a noi.
Prendi il tuo quaderno di marca (se non sai di cosa sto parlando, riprendi dalla puntata #01) e analizza a fondo tutto quello che hai scritto. Dopo sei puntate insieme sai qual è il potere della marca personale, sai qual è la tua mission e vision, sai quali sono i tuoi obiettivi, i tuoi punti forti, il tuo target, se sei un multipotenziale o uno specialista.
Ebbene, con queste informazioni sei a metà strada. Hai fatto in poche puntate quello che io ho capito di dover fare su di me in quasi due anni (un bel risparmio di tempo)!
Ora è il momento di capire se, tutto quello che hai valutato e scritto, si sposa bene con la piattaforma di Instagram.
Prima questione: il tuo target oscilla tra i 20 e i 40 anni? Sei in grado di creare video e foto convincenti? Quello che fai è adatto a una piattaforma che predilige i contenuti visuali? Hai modo di essere attivo quotidianamente, e di procedere con continuità?
Se la risposta è sì, possiamo cominciare.
L’esercizio che ho oggi per te è questo:
- Chi sei?
- Cosa hai da offrire al mondo?
Quando avrai elencato le cose che puoi offrire, mettile in ordine di priorità. Cosa ti interessa di più, tra tutto quello che sai fare? A cosa vuoi dare più importanza?
E ricorda: Instagram è un canale. I canali servono non per edificarci sopra, ma per trasportare le persone da un punto A a un punto B. Ti trovi su uno share media, non su un owned media (per parlare pane al pane, vino al vino, tu su Instagram sei in affitto, con un blog, un sito internet o una newsletter hai comprato casa).
Chiudo con ultimo consiglio.
La tentazione di riprodurre ciò che vedi sarà forte, specie quando ti troverai a corto di idee. Quello che voglio dirti è: ispirati, ma non replicare. Se replichi diventi solo una brutta copia. Ah, e porta pazienza. I risultati alle volte arrivano solo dopo un lungo periodo di insistenza. La costanza è tutto, anche su Instagram.
Alla prossima e… buon lavoro!
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Potrei proporvi un lungo discorso mellifluo a base di isognisondesideri + hashtag millenial like #colmioprincipe 🤴🏻💖, ma francamente desidero solo riferire all’Arianna quattrenne che i 27 anni di attesa sono valsi la pena: nel frattempo alle tazzine rotanti hanno aggiunto il 4D e svariati Johnny Depp interattivi.
#ilprogresso
Ho perso il conto dei sogni realizzati in questa luna di miele, ma ce ne sono due che necessitano di una carrellata apposita. 🦌⚡️
#pleaserespectthespelllimits #nara #universalstudios
POV: il giorno del tuo matrimonio hai regalato una Kodak a rullino a ciascuna delle tue damigelle 📸
#matrimonio #kodak #vintage
Un post a base di giallo con una funzione estrinseca - raccontarti un altro po’ di Kyoto - e una intrinseca - flexare con prepotenza le mie nuove giappoacquisizioni 👘💛
[Ah, e un po’ di 🐒 perché sono #troppobelline e sinceramente penso ti regaleranno un po’ di buon umore 🌼🐵]
#kyoto #🍯🌙
In questa città strabiliante mi sono riconfermata una cosa: sono gialla anche nei viaggi.
Mi va bene avere una tabella di marcia, ma allo spuntare una lista preferirò sempre godermi la giornata, improvvisare, cambiare idea.
Del resto quello che mi resterà non sono i templi (me ne ricordassi mezzo di nome), o i mille mila Torii (di cui di base terrò presente la fatica immane per arrivare in cima con 30 gradi) di per sé, ma l’esperienza, quello che ho sentito nel camminare per quelle vie, il senso di pace, o euforia, o gioia, o sorpresa.
E francamente ciò che porterò con me di questi primi due giorni a Kyoto è proprio l’unica cosa che non era in programma (e che viene da un azzeccatissimo suggerimento di una di voi): la passeggiata nel Sentiero del filosofo (la foto dove sono immersa nel verde), sentiero che abbiamo raggiunto a piedi beccando così un seminascosto negozio vintage di kimono (A D O R O).
Ultimo concetto da traveler (questa volta non basic ma radical chic) bitch: peferirò sempre vagare a seguire un tracciato prestabilito, specialmente se il suddetto implica strade brulicanti di turisti (di cui parlo con sdegno essendone io una, brava cretina) e l’Improvvisare un fiammante Kimono di seta Made in Japan (quello in foto è per mamma, ma anche il mio non scherza 👘).
O no?
(Attendo i non gialli e le loro liste al varco).
#kyoto #kyoto_style #🍯🌙
Oggi, ultimo giorno di questo primo round a Tokyo, la faccio breve:
🌙La me di 4 anni è entusiasta, ai limiti del collasso per il tripudio.
🌙La me di 31 ha capito che se por casualidad de la vida dovesse vivere in un paese con i water computerizzati, le infrastrutture del futuro e il sushi a pranzo e cena per un periodo circoscritto della propria esistenza, bah, ci si potrebbe abituare.
Anzi, riformulo, dove devo firmare?
#tokyo #🌙🍯 #unacombattentechevesteallamarinara
Tokyo II: cat caffè a Takeshita street (felice io🐈🐾), santuario Meiji, Yoyogi park, Akibahara city (o frikilandia/nerdolandia), Shinjuku e Golden Gai (ma sono io o in giapponese suona tutto molto fancy?).
Da mettere in evidenza:
1. Se trovi i peperoncini di peluche appesi in un bar, è perché con tutta probabilità morirai incendiato nell’intento di deglutire il 90% delle pietanze disposte sul tavolo.
2. Non basta essere una bimba di Sailor Moon per tollerare dieci piani di statuine di resina.
3. La metro di Tokyo è una bomba almeno quanto gli outfits di chi la usa.
4. Se leggi il decalogo della basic bitch in Giappone trovi nell’elenco un caffè ghiacciato da bere rigorosamente su un rooftop stile Tokiu Plaza e accarezzare un cucciolo di persiano con addosso delle pantofole sterilizzate.
5. Altro che vestirsi a strati, sto cambiando più outfit in un giorno io che una Barbie Malibu. E chi se lo ricordava com’era la primavera?
Per ulteriori riferimenti visivi: album stories “Tokyo II”.
Alla prossima puntata.
Xoxo
アリアンナ 💋
Le prime 24h a Tokyo iniziano con una scampagnata per Shibuya (bello l’incrocio, ma Mewtwo a bagnomaria batte ogni cosa, forse persino il sushi), proseguono con un terremoto magnitudo 5.2 alle 4 del mattino (ha suonato una sirena nel cellulare FORTISSIMA che mi ha fatto prendere un infarto, poi ha vibrato tutta la stanza per circa 3 secondi, dopodiché sono morta cerebralmente ricordo solo che Javi sereno perso mi fa “ah, hai visto come funziona bene? Ti avvisa subito persino l’iPhone!” per poi mettersi a guardare video di calcio mentre io regalavo anni di vita alle parche), una passeggiata alle sette del mattino perché tanto ecchidormepiù al tempio Senso-ji (pazzesko, pure se ho speso 200y per farmi dire da due foglietti diversi che avrò BAD LUCK, ma poi li ho annodati entrambi nella bacheca delle sfighe e quindi in teoria sono salva o almeno spero) e una nel parco di Ueno.
Infine, dopo n3 templi buddisti sparsi nel verde, abbiamo visitato per caso una sala di pachinko, tipo di luogo infernale dove decine e decine di nippononnini si fondono la pensione in tutta scioltezza (allego video).
Che dire, ‘sta honey moon è partita col botto.
Anzi, sarebbe il caso di dire col sisma.
#giappone #giorno1 #lunadimiele
#tokyo
“La prima volta che ti ho visto era un mercoledì di Novembre, rievocato nei nostri racconti decine, magari centinaia di volte.
Io una studentessa Erasmus con il cuore bendato e una giacca nera che sembrava il tappetino del bagno, tu un impiegato con la camicia a quadri e un paio di basette improponibili, ma gli occhi sinceri.
Ti ho capito subito: tu eri vero, pulito, senza filtri. Quello che c'era, era davanti a me.
Chi mi conosce lo sa bene, per tutta la vita ho cercato una squadra.
Volevo l'amore, quello complice, sereno, fatto di affetto e piccole cose, e io lo sapevo che da qualche parte esisteva la persona che mi avrebbe scelta e voluta esattamente per quello che sono (loca).
Qui, davanti a tutti, voglio dirti grazie per avermi fatto dono fin dal principio di un amore incondizionato.
Sì, incondizionato.
Perché tu non mi hai amato solo quando ero sulla cresta dell'onda, allegra, sorridente, sul pezzo.
Tu mi hai amato quando perdevo il nord e se mi parlavi davo errore 404 not found, quando ho fatto arrivare bollette stellari perché sono entrata in fissa con le torte al cioccolato e quando volevo vedere l'ennesimo film drammatico che sapevi a te avrebbe fatto schifo.
Tu ci sei sempre stato, per dirmi che ero brava, capace, intelligente.
Tu hai creduto in me persino quando io ho smesso di farlo, e se c'era un fardello da portare, l'hai portato insieme a me, senza esitare.
Tu sei la prima persona con cui sono riuscita a ballare senza provare imbarazzo. Con te sono me, e nel mentre mi ammazzo pure dalle risate.
Perché non c'è nessuno al mondo che mi faccia ridere come te, che mi faccia sentire così capita, accolta, rispettata, benvoluta.
Tu sei il "succede solo nei film", ma nella vita reale.
Sei la prova che non mi sbagliavo a volere di più, e che a volte l'istinto funziona molto
meglio della ragione.
Perché chi l'avrebbe mai detto che la studentessa Erasmus sei anni dopo si sarebbe sposata con il sivigliano a cui aveva inviato un biglietto di sola andata per Cagliari soltanto due mesi dopo averlo conosciuto?
Sai chi?
Noi.
Noi l'abbiamo detto.
E ci abbiamo creduto.”
📸 @montalbanoweddings ❤️