06 – Influencer: come diventarlo (per davvero) attraverso la tua marca personale
#iomiproclamo
Siamo arrivati al sesto episodio, e il tuo quaderno di marca sarà senz’altro pieno di riflessioni, esercizi svolti, conclusioni e idee.
Con questa puntata voglio però scavare ancora più a fondo, e chiederti Perché.
Perché ti sei deciso a farlo?
Perché vuoi lavorare su di te?
Perché vuoi risultare credibile agli occhi del tuo pubblico?
Se lo chiedessero a me, la risposta sarebbe immediata: per avere più opportunità.
Se impari a raccontare i tuoi valori, a comunicare la tua storia, le tue passioni, le tue competenze, e riesci a farlo radunando intorno a te persone disposte ad ascoltarti, magari persone che condividono i tuoi stessi interessi… lì le cose iniziano a cambiare.
Non è facile, ma questo lo avrai già capito: bisogna creare una bella sinergia tra attività, contenuti e canali, capire quali sono le piattaforme adatte a noi, e curarle quotidianamente. Devi diventare bravo a fare networking, creare nuove relazioni con chi come te lavora sul suo brand, ma anche, anzi direi soprattutto, con chi ti sta ad ascoltare ogni giorno.
I social, come giustamente dice Pogliani nel suo libro Professione Influencer, servono per generare fiducia, non per raccogliere followers. Anche perché followers non equivale a opportunità, o vendite. Non ti servono milioni di followers per migliorare la tua posizione professionale. Quello che serve non è il +1, ma è un +1 che parla con te, che si fida di te, che si lascia guidare da te in quel determinato ambito dove hai deciso di posizionarti.
I followers non vivono nell’attesa che noi pubblichiamo o facciamo qualcosa. I followers cercano qualcosa che sia in grado di rispondere alle proprie esigenze, e questa non è una cosa semplice da offrire.
“E come si trasforma un +1 in un contatto?”
Tanto per cominciare, non dando le cose per scontate. I followers passano attraverso un funnel, una sorta di imbuto. Si parte da una semplice conoscenza, in seguito si prende consapevolezza di chi si è iniziato a seguire, e solo alla fine arriva l’empatia. Ma se tu smetti di pubblicare, appari a singhiozzi, o pubblichi cose totalmente irrilevanti, credi davvero che quel +1 si avvicinerà a te dopo aver deluso le sue aspettative?
In effetti è proprio questo ciò che farebbe di te un influencer: portare le persone alla parte più stretta dell’imbuto.
Ma rendiamo le cose ancora più chiare, diamo una definizione concreta a questa parola così controversa, stabilendo cos’è e cosa non è un influencer.
INFLUENCER
Un influencer è una persona che:
- Ha radunato intorno a sé una community che riconosce in lui una certa autorità (competenze, per capirci), che si fida delle sue considerazioni e ha con lui una certa affinità in quanto idee, gusti e valori: per questo diventa un ottimo medium per aziende e/o progetti sociali.
- Ha un’opinione precisa e fondata sull’esperienza circa determinati topic che ne designano la tipologia (si può andare dal beauty alla politica).
- Si è posizionata perché ha una reale capacità di dare risposte alle domande che gli pongono i suoi followers su una determinata/e materia/e. Può essere un attivista, un’autorità del settore, un esperto, un creativo, è assolutamente indifferente: espleterà il suo ruolo nella piattaforma da lui scelta con la finalità di confrontarsi con la propria community nella maniera più efficace e cristallina possibile.
COSA NON è UN INFLUENCER
- Uno che ha molti followers: se ne possono avere 1000, 10000 o 1 milione. Quello che conta è quante di quelle persone hanno un rapporto del tipo indicato sopra con l’influencer. Il numero di per sé è solo un possibile indicatore di popolarità, non di rilevanza.
- Una persona che si fa fare foto in posa. Puoi metterti in posa oppure no, non è di certo un requisito necessario.
- Una persona famosa: paradossalmente oggigiorno un famoso influenza meno di un una persona come noi. Magari ha una reach più alta, dovuta alla sua popolarità, ma non è detto che la credibilità sia altrettanto alta.
- Una persona che viaggia, mangia e riceve prodotti gratis. L’influencer non è decretato tale in quanto vive a scrocco della società, ma in quanto in grado di riferire le sue considerazioni su un qualcosa a una community attenta, creando delle collaborazioni che vertono sul principio del win-win con marchi di vario genere (stando attento a non ledere la sua credibilità associandosi con aziende che calpestano i suoi principi). Per questo ha un valore di mercato, e ha un valore solo se è credibile. Altrimenti non è un influencer.
In sintesi: tutti possiamo essere influencer nel momento in cui siamo in grado di diventare un punto di riferimento per qualcuno su qualcosa.
Vuoi sapere quali sono le carte che ti servono per poter diventare un influencer nel tuo settore?
Premi play e… buon lavoro!
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Potrei proporvi un lungo discorso mellifluo a base di isognisondesideri + hashtag millenial like #colmioprincipe 🤴🏻💖, ma francamente desidero solo riferire all’Arianna quattrenne che i 27 anni di attesa sono valsi la pena: nel frattempo alle tazzine rotanti hanno aggiunto il 4D e svariati Johnny Depp interattivi.
#ilprogresso
Ho perso il conto dei sogni realizzati in questa luna di miele, ma ce ne sono due che necessitano di una carrellata apposita. 🦌⚡️
#pleaserespectthespelllimits #nara #universalstudios
POV: il giorno del tuo matrimonio hai regalato una Kodak a rullino a ciascuna delle tue damigelle 📸
#matrimonio #kodak #vintage
Un post a base di giallo con una funzione estrinseca - raccontarti un altro po’ di Kyoto - e una intrinseca - flexare con prepotenza le mie nuove giappoacquisizioni 👘💛
[Ah, e un po’ di 🐒 perché sono #troppobelline e sinceramente penso ti regaleranno un po’ di buon umore 🌼🐵]
#kyoto #🍯🌙
In questa città strabiliante mi sono riconfermata una cosa: sono gialla anche nei viaggi.
Mi va bene avere una tabella di marcia, ma allo spuntare una lista preferirò sempre godermi la giornata, improvvisare, cambiare idea.
Del resto quello che mi resterà non sono i templi (me ne ricordassi mezzo di nome), o i mille mila Torii (di cui di base terrò presente la fatica immane per arrivare in cima con 30 gradi) di per sé, ma l’esperienza, quello che ho sentito nel camminare per quelle vie, il senso di pace, o euforia, o gioia, o sorpresa.
E francamente ciò che porterò con me di questi primi due giorni a Kyoto è proprio l’unica cosa che non era in programma (e che viene da un azzeccatissimo suggerimento di una di voi): la passeggiata nel Sentiero del filosofo (la foto dove sono immersa nel verde), sentiero che abbiamo raggiunto a piedi beccando così un seminascosto negozio vintage di kimono (A D O R O).
Ultimo concetto da traveler (questa volta non basic ma radical chic) bitch: peferirò sempre vagare a seguire un tracciato prestabilito, specialmente se il suddetto implica strade brulicanti di turisti (di cui parlo con sdegno essendone io una, brava cretina) e l’Improvvisare un fiammante Kimono di seta Made in Japan (quello in foto è per mamma, ma anche il mio non scherza 👘).
O no?
(Attendo i non gialli e le loro liste al varco).
#kyoto #kyoto_style #🍯🌙
Oggi, ultimo giorno di questo primo round a Tokyo, la faccio breve:
🌙La me di 4 anni è entusiasta, ai limiti del collasso per il tripudio.
🌙La me di 31 ha capito che se por casualidad de la vida dovesse vivere in un paese con i water computerizzati, le infrastrutture del futuro e il sushi a pranzo e cena per un periodo circoscritto della propria esistenza, bah, ci si potrebbe abituare.
Anzi, riformulo, dove devo firmare?
#tokyo #🌙🍯 #unacombattentechevesteallamarinara
Tokyo II: cat caffè a Takeshita street (felice io🐈🐾), santuario Meiji, Yoyogi park, Akibahara city (o frikilandia/nerdolandia), Shinjuku e Golden Gai (ma sono io o in giapponese suona tutto molto fancy?).
Da mettere in evidenza:
1. Se trovi i peperoncini di peluche appesi in un bar, è perché con tutta probabilità morirai incendiato nell’intento di deglutire il 90% delle pietanze disposte sul tavolo.
2. Non basta essere una bimba di Sailor Moon per tollerare dieci piani di statuine di resina.
3. La metro di Tokyo è una bomba almeno quanto gli outfits di chi la usa.
4. Se leggi il decalogo della basic bitch in Giappone trovi nell’elenco un caffè ghiacciato da bere rigorosamente su un rooftop stile Tokiu Plaza e accarezzare un cucciolo di persiano con addosso delle pantofole sterilizzate.
5. Altro che vestirsi a strati, sto cambiando più outfit in un giorno io che una Barbie Malibu. E chi se lo ricordava com’era la primavera?
Per ulteriori riferimenti visivi: album stories “Tokyo II”.
Alla prossima puntata.
Xoxo
アリアンナ 💋
Le prime 24h a Tokyo iniziano con una scampagnata per Shibuya (bello l’incrocio, ma Mewtwo a bagnomaria batte ogni cosa, forse persino il sushi), proseguono con un terremoto magnitudo 5.2 alle 4 del mattino (ha suonato una sirena nel cellulare FORTISSIMA che mi ha fatto prendere un infarto, poi ha vibrato tutta la stanza per circa 3 secondi, dopodiché sono morta cerebralmente ricordo solo che Javi sereno perso mi fa “ah, hai visto come funziona bene? Ti avvisa subito persino l’iPhone!” per poi mettersi a guardare video di calcio mentre io regalavo anni di vita alle parche), una passeggiata alle sette del mattino perché tanto ecchidormepiù al tempio Senso-ji (pazzesko, pure se ho speso 200y per farmi dire da due foglietti diversi che avrò BAD LUCK, ma poi li ho annodati entrambi nella bacheca delle sfighe e quindi in teoria sono salva o almeno spero) e una nel parco di Ueno.
Infine, dopo n3 templi buddisti sparsi nel verde, abbiamo visitato per caso una sala di pachinko, tipo di luogo infernale dove decine e decine di nippononnini si fondono la pensione in tutta scioltezza (allego video).
Che dire, ‘sta honey moon è partita col botto.
Anzi, sarebbe il caso di dire col sisma.
#giappone #giorno1 #lunadimiele
#tokyo
“La prima volta che ti ho visto era un mercoledì di Novembre, rievocato nei nostri racconti decine, magari centinaia di volte.
Io una studentessa Erasmus con il cuore bendato e una giacca nera che sembrava il tappetino del bagno, tu un impiegato con la camicia a quadri e un paio di basette improponibili, ma gli occhi sinceri.
Ti ho capito subito: tu eri vero, pulito, senza filtri. Quello che c'era, era davanti a me.
Chi mi conosce lo sa bene, per tutta la vita ho cercato una squadra.
Volevo l'amore, quello complice, sereno, fatto di affetto e piccole cose, e io lo sapevo che da qualche parte esisteva la persona che mi avrebbe scelta e voluta esattamente per quello che sono (loca).
Qui, davanti a tutti, voglio dirti grazie per avermi fatto dono fin dal principio di un amore incondizionato.
Sì, incondizionato.
Perché tu non mi hai amato solo quando ero sulla cresta dell'onda, allegra, sorridente, sul pezzo.
Tu mi hai amato quando perdevo il nord e se mi parlavi davo errore 404 not found, quando ho fatto arrivare bollette stellari perché sono entrata in fissa con le torte al cioccolato e quando volevo vedere l'ennesimo film drammatico che sapevi a te avrebbe fatto schifo.
Tu ci sei sempre stato, per dirmi che ero brava, capace, intelligente.
Tu hai creduto in me persino quando io ho smesso di farlo, e se c'era un fardello da portare, l'hai portato insieme a me, senza esitare.
Tu sei la prima persona con cui sono riuscita a ballare senza provare imbarazzo. Con te sono me, e nel mentre mi ammazzo pure dalle risate.
Perché non c'è nessuno al mondo che mi faccia ridere come te, che mi faccia sentire così capita, accolta, rispettata, benvoluta.
Tu sei il "succede solo nei film", ma nella vita reale.
Sei la prova che non mi sbagliavo a volere di più, e che a volte l'istinto funziona molto
meglio della ragione.
Perché chi l'avrebbe mai detto che la studentessa Erasmus sei anni dopo si sarebbe sposata con il sivigliano a cui aveva inviato un biglietto di sola andata per Cagliari soltanto due mesi dopo averlo conosciuto?
Sai chi?
Noi.
Noi l'abbiamo detto.
E ci abbiamo creduto.”
📸 @montalbanoweddings ❤️