Lo so, è il primo episodio, ma io voglio portarti subito al nocciolo della questione. Ci sarà tempo, per le dissertazioni.
Puoi direttamente premere play, oppure leggere prima questo articolo.
In pochi minuti ti farò capire perché è arrivato il momento di uscire dal guscio, e quali sono i primi passi da compiere per cambiare le cose.
Partiamo dalla domanda fatidica, perché se sei approdato su questa pagina è quanto ti interessa sapere fin dal principio.
Cos’è la marca personale?
Perché è così importante iniziare a lavorarci?
Per spiegartelo utilizzerò la definizione di William Arruda, guru del personal branding:
«La marca personale è il modo di rendere chiaro e comunicare verso l’esterno cosa ci rende diversi e speciali, e di impiegare quelle determinate qualità per guidare la nostra ascesa professionale e prendere le nostre decisioni strategiche. Abbiamo bisogno di capire quali sono gli aspetti che ci definiscono: punti di forza, di debolezza, i nostri valori e le nostre passioni. In questo senso la marca personale consiste nel comunicare in maniera chiara i valori che ci rendono unici, quelli che decidiamo di offrire alla nostra impresa o ai nostri clienti.»
Un’altra definizione che cito spesso è quella di Riccardo Scandellari, che definisce il personal branding (quindi l’attività di lavorare alla propria marca personale) così:
«Lavorare su se stessi per acquisire autorevolezza e visibilità attraverso attività pianificate di comunicazione simili a quelle intraprese dai brand. Ecco in sintesi il personal branding.»
«Ma quindi l’obiettivo è diventare famosi?»
Forse ora ti è venuto da ridere. Ti sarai detto “no, non è affatto quello che ho pensato”. Eppure questa è una domanda che sorge a molte delle persone che per la prima volta sentono parlare di marca personale, o personal brand. Rispondo per scrupolo nella maniera più cristallina possibile: no, l’obiettivo non è diventare famosi, ma essere riconoscibili. L’ascesa professionale NON è un sinonimo di popolarità, piuttosto parlerei di rilevanza.
È una cosa che chiedo spesso in sede di consulenza: «vuoi essere popolare o rilevante?». Perché non è affatto lo stesso. Mettiamo che tu sia una closet organizer, professione oggi molto di tendenza. Puoi pubblicare sul tuo canale una foto con il tuo nuovo animale domestico e raggiungere oltre duecento mi piace e non ottenere nessun nuovo cliente. Oppure puoi rendere disponibile un articolo che hai scritto su come riordinare i cassetti dell’armadio, ottenere cinquanta mi piace, ma tre clienti nuove. Cosa preferisci? Cibo per l’ego o conversioni reali (ergo, pecunie per le tasche)?
La missione deve essere trasmettere il tuo talento, renderti riconoscibile, far sì che tutte le tue peculiarità siano facilmente individuabili dall’esterno. In questo modo aumenteranno esponenzialmente le tue opportunità, professionali e personali. È un po’ come decidere di affacciarsi al balcone anziché stare barricati dietro la porta di casa in attesa che qualcuno la bussi.
Noi esseri umani abbiamo un po’ questa tendenza. Ci riconosciamo delle capacità, e quando non le diamo per scontate (ne sanno qualcosa coloro che soffrono della sindrome dell’impostore) decidiamo di tenercele per noi e per la nostra cerchia di amici. Non le comunichiamo verso l’esterno, ma ci aspettiamo che sia il prossimo a scoprirci per caso e magari a dirci «wow, sei proprio quello che stavo cercando». E io ti chiedo: ma anziché aspettare che si allineino gli astri e che finalmente qualcuno si accorga di quello che sai fare e ti conceda la grande occasione, perché non inizi a raccontare chi sei e cosa sai fare online, dove potenzialmente puoi raggiungere chiunque?
Il tuo futuro, il tuo successo, è nelle tue mani.
Quando si tratta di marca personale non c’entrano i contatti, quelli puoi generarli, e vedremo più avanti come. Credimi, si può davvero iniziare da 0. Io l’ho fatto. E non ti suggerisco niente che non abbia già applicato su di me.
“Bene, e chi decide come deve essere la mia marca personale? Il mio pubblico? Il mio consulente?”
Sei tu che decidi come deve essere, in che modo trasmettere i tuoi valori, su quali canali, attraverso che contenuti, in sostanza quale strategia adottare. E se cose come “dove parlo, come parlo, cosa dico” ti mettono in difficoltà, non bloccarti. Per quello ci sono le figure come la mia! (Se vuoi puoi dare un’occhiata qui ai miei servizi).
Possiamo lavorarci insieme, e dopo aver messo a fuoco in cosa sei bravo e di cosa ti vuoi occupare, capiamo su che canali è meglio agire, costruiamo un piano editoriale da adottare, come organizzarti da un punto di vista operativo, ci preoccupiamo della tua brand reputation etc.
Ecco, a questo proposito mi preme fare luce su un altro aspetto che mette in crisi tanti neofiti.
Ti spiegherò in parole povere qual è la differenza tra marca e reputazione, così evitiamo che ci siano equivoci in futuro.
Marca è un insieme di elementi, una somma di valori. È la marca che ci promette, in quanto acquirenti, un dato risultato.
La marca è quella che fa sì che ai nostri occhi quel dato prodotto, servizio o risultato non ce lo possa dare proprio nessun altro che non riporti quel simbolo, quel nome, quei valori impressi nella sua essenza.
La marca è la proposta che parte da dentro, e va verso l’esterno: sono i valori associati fin dalle origini a un prodotto o servizio, valori che noi (in quanto unici proprietari della nostra marca personale) decidiamo, e che poi comunichiamo in un secondo momento.
La reputazione, o Brand reputation è invece il risultato dell’insieme di percezioni, valutazioni e aspettative che si hanno nei confronti di un brand.
«Allora, in soldoni, qual è il ruolo della marca personale?»
La marca personale cerca in buona sostanza di mantenere in equilibrio tre pilastri fondamentali: come ti vedi tu, come ti vedono gli altri e come pensi che ti vedano gli altri.
Tutto questo processo deve chiaramente seguire delle tappe logiche: cosa mi distingue? Quali sono gli obiettivi che voglio raggiungere attraverso la mia marca personale? A chi mi rivolgo? Come mi posiziono nel mercato? In che modo posso comunicare quello che sono al mio pubblico?
Queste domande ce le dobbiamo porre spesso. Perché, esattamente come le aziende, noi esseri umani ci evolviamo, e piuttosto in fretta. Cresciamo, cambiamo, maturiamo nuove abilità e intenzioni. E allora c’è bisogno di riadattare, di sistemare quello che abbiamo costruito.
«Ok, sono convinto! Da cosa devo iniziare per lavorare alla mia marca personale?»
Ciò da cui non puoi prescindere è da un bel processo di introspezione.
Ti svelo fin da ora un segreto: non arriverai da nessuna parte fingendo di essere qualcun altro. Le persone che hanno successo sono quelle fedeli a loro stesse. Mentire è faticoso, è come portarsi sulle spalle una grossa zavorra. Forse si riesce a farlo per un periodo, ma poi ci si stanca. La nostra indole è sempre più potente di qualunque imposizione esterna.
Per questo è fondamentale che tu sappia chi sei, e capire come lo vuoi raccontare.
Da questo momento in poi regalati qualche minuto al giorno per ascoltarti: credimi, sarà il primo passo verso il successo della tua marca personale.
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Buon lavoro e buon ascolto!
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Potrei proporvi un lungo discorso mellifluo a base di isognisondesideri + hashtag millenial like #colmioprincipe 🤴🏻💖, ma francamente desidero solo riferire all’Arianna quattrenne che i 27 anni di attesa sono valsi la pena: nel frattempo alle tazzine rotanti hanno aggiunto il 4D e svariati Johnny Depp interattivi.
#ilprogresso
Ho perso il conto dei sogni realizzati in questa luna di miele, ma ce ne sono due che necessitano di una carrellata apposita. 🦌⚡️
#pleaserespectthespelllimits #nara #universalstudios
POV: il giorno del tuo matrimonio hai regalato una Kodak a rullino a ciascuna delle tue damigelle 📸
#matrimonio #kodak #vintage
Un post a base di giallo con una funzione estrinseca - raccontarti un altro po’ di Kyoto - e una intrinseca - flexare con prepotenza le mie nuove giappoacquisizioni 👘💛
[Ah, e un po’ di 🐒 perché sono #troppobelline e sinceramente penso ti regaleranno un po’ di buon umore 🌼🐵]
#kyoto #🍯🌙
In questa città strabiliante mi sono riconfermata una cosa: sono gialla anche nei viaggi.
Mi va bene avere una tabella di marcia, ma allo spuntare una lista preferirò sempre godermi la giornata, improvvisare, cambiare idea.
Del resto quello che mi resterà non sono i templi (me ne ricordassi mezzo di nome), o i mille mila Torii (di cui di base terrò presente la fatica immane per arrivare in cima con 30 gradi) di per sé, ma l’esperienza, quello che ho sentito nel camminare per quelle vie, il senso di pace, o euforia, o gioia, o sorpresa.
E francamente ciò che porterò con me di questi primi due giorni a Kyoto è proprio l’unica cosa che non era in programma (e che viene da un azzeccatissimo suggerimento di una di voi): la passeggiata nel Sentiero del filosofo (la foto dove sono immersa nel verde), sentiero che abbiamo raggiunto a piedi beccando così un seminascosto negozio vintage di kimono (A D O R O).
Ultimo concetto da traveler (questa volta non basic ma radical chic) bitch: peferirò sempre vagare a seguire un tracciato prestabilito, specialmente se il suddetto implica strade brulicanti di turisti (di cui parlo con sdegno essendone io una, brava cretina) e l’Improvvisare un fiammante Kimono di seta Made in Japan (quello in foto è per mamma, ma anche il mio non scherza 👘).
O no?
(Attendo i non gialli e le loro liste al varco).
#kyoto #kyoto_style #🍯🌙
Oggi, ultimo giorno di questo primo round a Tokyo, la faccio breve:
🌙La me di 4 anni è entusiasta, ai limiti del collasso per il tripudio.
🌙La me di 31 ha capito che se por casualidad de la vida dovesse vivere in un paese con i water computerizzati, le infrastrutture del futuro e il sushi a pranzo e cena per un periodo circoscritto della propria esistenza, bah, ci si potrebbe abituare.
Anzi, riformulo, dove devo firmare?
#tokyo #🌙🍯 #unacombattentechevesteallamarinara
Tokyo II: cat caffè a Takeshita street (felice io🐈🐾), santuario Meiji, Yoyogi park, Akibahara city (o frikilandia/nerdolandia), Shinjuku e Golden Gai (ma sono io o in giapponese suona tutto molto fancy?).
Da mettere in evidenza:
1. Se trovi i peperoncini di peluche appesi in un bar, è perché con tutta probabilità morirai incendiato nell’intento di deglutire il 90% delle pietanze disposte sul tavolo.
2. Non basta essere una bimba di Sailor Moon per tollerare dieci piani di statuine di resina.
3. La metro di Tokyo è una bomba almeno quanto gli outfits di chi la usa.
4. Se leggi il decalogo della basic bitch in Giappone trovi nell’elenco un caffè ghiacciato da bere rigorosamente su un rooftop stile Tokiu Plaza e accarezzare un cucciolo di persiano con addosso delle pantofole sterilizzate.
5. Altro che vestirsi a strati, sto cambiando più outfit in un giorno io che una Barbie Malibu. E chi se lo ricordava com’era la primavera?
Per ulteriori riferimenti visivi: album stories “Tokyo II”.
Alla prossima puntata.
Xoxo
アリアンナ 💋
Le prime 24h a Tokyo iniziano con una scampagnata per Shibuya (bello l’incrocio, ma Mewtwo a bagnomaria batte ogni cosa, forse persino il sushi), proseguono con un terremoto magnitudo 5.2 alle 4 del mattino (ha suonato una sirena nel cellulare FORTISSIMA che mi ha fatto prendere un infarto, poi ha vibrato tutta la stanza per circa 3 secondi, dopodiché sono morta cerebralmente ricordo solo che Javi sereno perso mi fa “ah, hai visto come funziona bene? Ti avvisa subito persino l’iPhone!” per poi mettersi a guardare video di calcio mentre io regalavo anni di vita alle parche), una passeggiata alle sette del mattino perché tanto ecchidormepiù al tempio Senso-ji (pazzesko, pure se ho speso 200y per farmi dire da due foglietti diversi che avrò BAD LUCK, ma poi li ho annodati entrambi nella bacheca delle sfighe e quindi in teoria sono salva o almeno spero) e una nel parco di Ueno.
Infine, dopo n3 templi buddisti sparsi nel verde, abbiamo visitato per caso una sala di pachinko, tipo di luogo infernale dove decine e decine di nippononnini si fondono la pensione in tutta scioltezza (allego video).
Che dire, ‘sta honey moon è partita col botto.
Anzi, sarebbe il caso di dire col sisma.
#giappone #giorno1 #lunadimiele
#tokyo
“La prima volta che ti ho visto era un mercoledì di Novembre, rievocato nei nostri racconti decine, magari centinaia di volte.
Io una studentessa Erasmus con il cuore bendato e una giacca nera che sembrava il tappetino del bagno, tu un impiegato con la camicia a quadri e un paio di basette improponibili, ma gli occhi sinceri.
Ti ho capito subito: tu eri vero, pulito, senza filtri. Quello che c'era, era davanti a me.
Chi mi conosce lo sa bene, per tutta la vita ho cercato una squadra.
Volevo l'amore, quello complice, sereno, fatto di affetto e piccole cose, e io lo sapevo che da qualche parte esisteva la persona che mi avrebbe scelta e voluta esattamente per quello che sono (loca).
Qui, davanti a tutti, voglio dirti grazie per avermi fatto dono fin dal principio di un amore incondizionato.
Sì, incondizionato.
Perché tu non mi hai amato solo quando ero sulla cresta dell'onda, allegra, sorridente, sul pezzo.
Tu mi hai amato quando perdevo il nord e se mi parlavi davo errore 404 not found, quando ho fatto arrivare bollette stellari perché sono entrata in fissa con le torte al cioccolato e quando volevo vedere l'ennesimo film drammatico che sapevi a te avrebbe fatto schifo.
Tu ci sei sempre stato, per dirmi che ero brava, capace, intelligente.
Tu hai creduto in me persino quando io ho smesso di farlo, e se c'era un fardello da portare, l'hai portato insieme a me, senza esitare.
Tu sei la prima persona con cui sono riuscita a ballare senza provare imbarazzo. Con te sono me, e nel mentre mi ammazzo pure dalle risate.
Perché non c'è nessuno al mondo che mi faccia ridere come te, che mi faccia sentire così capita, accolta, rispettata, benvoluta.
Tu sei il "succede solo nei film", ma nella vita reale.
Sei la prova che non mi sbagliavo a volere di più, e che a volte l'istinto funziona molto
meglio della ragione.
Perché chi l'avrebbe mai detto che la studentessa Erasmus sei anni dopo si sarebbe sposata con il sivigliano a cui aveva inviato un biglietto di sola andata per Cagliari soltanto due mesi dopo averlo conosciuto?
Sai chi?
Noi.
Noi l'abbiamo detto.
E ci abbiamo creduto.”
📸 @montalbanoweddings ❤️